La prevenzione incendi negli impianti di trattamento rifiuti
Il Ministero dell’Ambiente ha emanato il 15 marzo 2018 una circolare (prot. 4064) sulla sicurezza degli impianti di gestione dei rifiuti. Il titolo originale è “Linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi”.
Ultimamente alcune linee guida sono state emesse da vari organismi dello Stato, ma la loro cogenza giuridica è incerta. Nel recente passato, diverse linee guida hanno visto una applicazione molto scarsa, e perfino una conoscenza molto scarsa da parte degli operatori del settore. Inoltre non è chiaro se l’organo di controllo possa o meno prescrivere legittimamente la conformità a tali documenti. Il risultato di questa modalità di emissione di provvedimenti è l’introduzione nel sistema di incertezza ed in definitiva del rischio di ridurre la sicurezza antincendio generale della società. Un conto sono infatti le linee guida emesse da organizzazioni non governative, come per esempio la CFPA-Europe , dove è ovvio che esse costituiscano una indicazione di buona pratica, insomma un amichevole consiglio che è bene seguire perché normalmente sono state preparate da persone che sono esperte del settore; tutt’altra cosa sono le linee guida emesse da uno stato sovrano, la cui applicazione non può essere considerata cogente.
In secondo luogo la linea guida in questione si applica soltanto a quelle parti degli impianti di trattamento dei rifiuti dove i materiali sono stoccati, e non agli altri reparti di processo. Non basta: non tratta specificatamente della sicurezza antincendio di tali siti, ma in generale della gestione e della prevenzione dei rischi, sebbene poi sia lo stesso documento del Ministero dell’Ambiente a dichiarare che l’iniziativa della redazione è stata presa proprio a seguito dei numerosi incendi avvenuti in questi siti, e che il documento è frutto di un confronto con il Dipartimento dei Vigili del Fuoco, con le amministrazioni regionali e con le agenzie ambientali. Occorre precisare che dalle informazioni disponibili pare che il coinvolgimento dei Vigili del Fuoco sia stato piuttosto marginale, cosa che peraltro traspare qua e là anche dalla lettura del documento. E’ comunque vero che i recenti numerosi incendi che negli ultimi mesi ed anni hanno interessato questi siti hanno suscitato un certo allarme nella popolazione, a seguito del dubbio che la combustione di tali materiali possa produrre almeno in parte sostanze tossiche, dubbio alimentato anche dalle spesse colonne di fumo nero e denso che in diversi casi hanno caratterizzato questi incendi.
Di conseguenza, comunque si sia prodotta la gestazione di questo documento, si tratta di un importante passo avanti verso la definizione di criteri condivisi di sicurezza antincendio per questo tipo di impianti, e dunque merita una attenta lettura.
Gli impianti di trattamento dei rifiuti sono soggetti al controllo dei VVF?
L’Allegato I al DPR 1 agosto 2011 non indica gli impianti di trattamento dei rifiuti quali attività soggette al controllo dei VVF: una voce specifica apposta per loro non è presente nel decreto.
Resta ovviamente possibile che tali siti rientrino nell’ambito di quelli soggetti al controllo dei VVF per altri motivi, come per esempio il deposito di materiali vari con superficie oltre i 1.000 mq. Ed infatti proprio in tal senso si è espresso il Ministero dell’Interno, nell’ormai lontano 2002, con nota prot. P980/4101 sott. 406/50 del 28 agosto 2002, dove la Direzione Centrale per la Prevenzione e la Sicurezza Tecnica, rispondendo ad un quesito pervenuto per tramite dell’Ispettorato Regionale VVF della Lombardia e riferito a “impianto di preselezione e riduzione volumetrica di rifiuti solidi urbani” chiarisce che:
1) Se i depositi di rifiuti non sono all’aperto, ma sono al chiuso, e la loro superficie supera i 1.000 mq, allora si configura l’att. 88 secondo il D.M. 16.2.1982. Dato che il D.M. 16.2.1982 è nel frattempo stato abrogato, traduciamo in linguaggio attuale per concludere che i depositi di rifiuti al chiuso, con superficie superiore a 1.000 mq e con oltre 5.000 Kg di materiali combustibili, sono attività soggette al controllo dei VVF in quanto costituiscono Att. 70 secondo il DPR 1 agosto 2011; e che in particolare, da 1.000 a 3.000 mq costituiscono Att. 70.2/B, mentre oltre i 3.000 mq costituiscono Att. 70.3/C.
Precisiamo che, al fine dell’assoggettabilità al controllo dei VVF, tutte queste condizioni devono essere contemporaneamente rispettate: depositi al chiuso, oltre i 1000 mq, oltre 5000 Kg di materiali combustibili.
2) Se i depositi sono contenuti in edifici aventi struttura metallica, la struttura dovrà conformarsi ai requisiti previsti dalla Circolare 91/1961. Anche qui, traducendo in linguaggio più aggiornato, la resistenza al fuoco delle strutture di tali edifici dovrà essere conforme al dettato del D.M. 16.2.2007.
3) I criteri generali di prevenzione e protezione antincendio da adottare sono quelli indicati dal D.M. 10.3.1998. A proposito della regola tecnica da applicare, corre l’obbligo di precisare che il gestore dell’attività, in collaborazione con il professionista antincendio, è oggi libero di scegliere se applicare il D.M. 10.3.1998 come indicato dal Ministero nel 2002, oppure (ed è questa la novità rispetto al 2002) se applicare invece il D.M. 3.8.2015, ormai da molti di noi affettuosamente chiamato “Codice di prevenzione incendi”. Infatti per le attività 70 il Codice è immediatamente applicabile anche senza dover ricorrere all’istituto della deroga, come precisato dall’Art. 2 comma 1, dove l’Att. 70 è esplicitamente menzionata come facente parte del campo di applicazione del Codice.
4) Eventuali ulteriori misure antincendio potranno essere valutate dai Comandi VVF; insomma, il Comando valuterà caso per caso in occasione della presentazione del progetto.
Questa interessante risposta del Ministero appare tuttora attuale e ci consente di trarre alcune prime conclusioni.
a) I depositi di rifiuti all’aperto non sono attività soggetta al controllo dei VVF.
È vero che, a seguito dell’emanazione del DPR 151/2011, anche alcune attività all’aperto, prima sempre considerate come non soggette solo per il fatto di essere per l’appunto posizionate all’aperto, sono ora considerate soggette al controllo dei VVF. Ci riferiamo in particolare agli interporti con superficie superiore a 20.000 mq (Att. 79); alle attività di demolizione di veicoli di superficie superiore a 3.000 mq (Att. 55); ai depositi all’aperto di legna e simili con materiale in deposito oltre i 50.000 Kg, con la sola eccezione dei depositi all’aperto che abbiano distanze di sicurezza esterne superiori a 100 m (Att. 36). Quindi esiste da parte del legislatore una propensione ad allargare il campo dell’assoggettabilità anche ad alcune attività posizionate all’aperto; resta ovvio comunque che fintanto che non uscirà una revisione del DPR 151/2011, la situazione non può essere oggetto di interpretazione.
b) Restano comunque valide l’Att. 34, cioè “depositi (…) per la cernita di carta usata (…) con quantitativi in massa superiori a 5.000 Kg” e, come sopra meglio ricordato, l’Att. 70, cioè “locali adibiti a depositi di superficie lorda superiore a 1.000 mq con quantitativi di merci e materiali combustibili superiori complessivamente a 5.000 Kg”.
Una volta stabilito se l’attività è soggetta o meno al controllo dei VVF, e prima di addentrarci nelle regole tecniche da applicare, è bene però chiedersi se tutta questa attenzione verso la sicurezza antincendio dei depositi di rifiuti sia o meno giustificata.
I depositi di rifiuti bruciano?
Sì. Effettivamente depositi di rifiuti bruciano, ed anche con una certa frequenza non trascurabile.
Secondo alcune fonti , negli ultimi 3 anni si conterebbero 260 incendi di impianti di stoccaggio e recupero dei rifiuti, la maggior parte di origine dolosa. La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, presieduta dalla deputata del Partito Democratico Chiara Braga, nella scorsa legislatura ha prodotto ben 53 documenti , fra cui riveste particolare interesse l’ultimo, il Doc. XXIII n. 53 del 1 marzo 2018. Le conclusioni della Commissione parlamentare sono chiare: nella maggior parte dei casi, la natura degli incendi è dolosa.
Solo a titolo di esempio degli incendi avvenuti in Italia negli ultimi tempi ad impianti di trattamento dei rifiuti, citiamo i seguenti:
- 7 luglio 2017, Senago (Mi).
- 23 luglio 2017, Bruzzano (Mi).
- 2 ottobre 2017, Cinisello Balsamo (Mi).
- 3 gennaio 2018, Corteolona (Pv). In questo caso i rifiuti si trovavano all’interno di un capannone in disuso che avrebbe dovuto essere ufficialmente vuoto.
- 7 gennaio 2018, Cairo Montenotte (Sv).
- 18 gennaio, Ostra (An).
- 19 gennaio, Baranzate (Mi).
- 2 febbraio 2018, Pomezia (Roma).
- 19 febbraio 2018, Pioltello (Mi).
- 11 marzo 2018, Cologno Monzese (Mi).
- 25 marzo 2018, Pianezza (To).
- 23 aprile 2018, San Donà di Piave (Ve). Incendio di rifiuti speciali.
- 23 aprile 2018, Misterbianco (Ct). Incendio di rifiuti all’aperto.
ma ne sono avvenuti così tanti che è impossibile elencarli tutti.
Nonostante la Direzione Nazionale Antimafia se ne sia interessata, attualmente non appare confermata una unica strategia criminale unitaria. Resta il fatto che nel suo complesso il ciclo del trattamento dei rifiuti procede con impianti, procedure, gestioni e logistica non sempre limpidissime. Da più parti si sospettano attività illecite: negli anni passati, per esempio, era di moda affittare capannoni, riempirli di spazzatura e sparire. Ora pare sia maggiormente di moda affittare capannoni, riempirli di spazzatura e dar loro fuoco.
Gli incendi avvengono in misura maggiore al Nord, dato che al Sud generalmente gli impianti per il trattamento dei rifiuti sono inadeguati a smaltire certe tipologie specifiche di rifiuti o addirittura l’intero quantitativo dei rifiuti nel suo complesso. Pertanto ultimamente esiste un flusso di rifiuti che dal Sud viaggia verso il Nord. Questo flusso potrebbe aver provocato difficoltà logistiche prima inesistenti.
Altre difficoltà logistiche potrebbero essere state introdotte dalla recente decisione della Cina di arrestare l’incontrollata importazione di rifiuti (in particolare plastica) dai paesi più sviluppati, pratica continuata in passato per vari decenni. Ciò avrebbe provocato un ingolfamento delle usuali reti di smaltimento – legali o illegali – dei rifiuti dai paesi più avanzati verso la Cina e il rapido eccesso di rifiuti all’interno dei paesi industrializzati, rifiuti che quindi avrebbero ben poco misteriosamente iniziato a bruciare.
Ma allora, se questa è una delle cause, il problema potrebbe non essere solo italiano. Ed infatti anche dagli Stati Uniti ci giungono notizie di problemi del medesimo tipo. Ecco un breve elenco di alcuni incendi di cui abbiamo avuto notizia:
- 28 gennaio 2018, Willimantic (Connecticut). Incendio di un impianto per il riciclaggio della carta.
- 4 aprile 2018, Pueblo County (Colorado).
- 4 aprile 2018, Minquadale (Delaware). Incendio di una discarica all’aperto.
- 12 aprile 2018, Birmingham (Alabama).
A questo proposito è interessante un articolo di Angelo Verzoni pubblicato sulla NFPA Magazine del marzo-aprile 2018 , dove proprio il giornalista ci informa che solo nella settimana prima della pubblicazione ci siano stati incendi di rifiuti negli stati dell’Alabama, Colorado, Delaware, Virginia e Washington: si tratta di alcuni degli incendi sopra elencati. Nell’articolo, Stuart Lloyd, che è Global fire protection Lead per la compagnia assicurativa Zurich, prevede per i prossimi anni la possibilità di un sensibile aumento negli incendi nei depositi di rifiuti o negli impianti per il trattamento dei rifiuti.
In conclusione, il problema esiste a livello nazionale ed internazionale e bene ha fatto il Ministero dell’Ambiente ad interessarsene.